Capi? Licenziamoli tutti.

L’evoluzione sociale, culturale, antropologica di cui ha parlato Ernesto Capozzo alcuni giorni fa, ha un riscontro interessante nella recente letteratura manageriale. Mi sto occupando da anni, precisamente dal 2008 di Leaderless organizations, scrivendo di questo argomento, insieme ad altri amici quando ancora questi temi erano pionieristici e riservati decisamente a pochi. (segue)

Papà, sono diventata uno squalo

Lei era in crisi. Il suo faccino ancora giovane, benché fosse già da alcuni anni laureata, era rigato di lacrime. Un’ora dopo si sarebbe specchiata negli occhi algidi del suo capo, contemplando il fallimento. Il primo della sua corsa come coordinatore di trader. Si augurava non fosse l’ultimo. La incontrai in ascensore mentre andava da lui, a conoscere il verdetto. Mi disse “avrei bisogno di avere qui mio padre, con me” (segue)

Inconscio, telefonini e margherite

Un paio di mesi fa a Brescia in occasione del convegno annuale di Ariele psicoterapia e dedicato alla figura di José Bleger, ho assistito ad una relazione molto interessante. A tenerla è stato il mio amico Paolo Magatti, psicosocioanalista e consulente. Con l’intento di proporre (segue)

Il consigliere

La storia del consigliere è una storia di potere nell’ombra. Un’eminenza grigia, fedele, dedita al sovrano. Ne stempera le esagerazioni, ne esalta le virtù. Interviene per tutelarne l’onore e mediare nelle situazioni estreme. Il consigliere vive di luce riflessa. Non si può permettere una storia, vive solo quella del sovrano.

Il consigliere, ha un tempo, poiché non può sopravvivere al suo re. Arriva un tempo in cui il sovrano va oltre e si accorge che il consigliere è inade

guato. Il potente si disfa del consigliere, della sua fedeltà e di ciò che rappresenta. Il consigliere, va sullo sfondo e su di lui cala la luce.

Ho incontrato per due volte questo archetipo nelle ultime 24 ore.

Sebastiano l’anziano professore di cui Luciano Sandulli (Silvio Orlando) prenderà il posto al fianco dell’

obliquo Botero nel film Il Portaborse.

Hagen (Robert Duvall) l’avvocato consigliere della famiglia Corleone, ne Il Padrino. Verrà sostituito da Mike Corleone in quanto consigliere in tempo di pace inadeguato a sostenere i nuovi tempi di guerra.

Il consigliere attraversa la luce. Il consigliere tramonta da solo, o, a volte, con il suo re.

Nobiltà deceduta

L’elegante signora dal pesante cappello, mi disse di avere grandi aspettative. Pur consapevole delle ristrettezze estetiche ed etiche del nostro tempo, dichiarò di porsi obiettivi ambiziosi poiché la luminosa multinazionale in cui prestava la propria opera non poteva tollerare alcun arretramento.

Io avrei dovuto, di fronte alle centinaia di manager che, forse, mi sarebbero stati assegnati, conseguire una esaustiva e completa formazione sul tema XY. Io ebbi un sussulto non appena seppi che il tempo che avevo a disposizione: era solo una giornata io mi affrettai a dire no.

Con troppa fretta forse, come quando ci si sente intrappolati e si muovono braccia e gambe per liberarsi. Ma ogni movimento stringe i nodi, fa sprondare nella trama di corde, riduce la forza vitale, istante dopo istante. Avrei dovuto tacere e abbozzare, come tante altre volte prima. Eppure quella volta non vi riuscii.

Con troppa fretta dissi no, che l’obiettivo era irragiungibile. La signora strinse le mani, serrò le labbra e dichiarò che mi sbagliavo. Gentile e tagliente come una lama di ghiaccio attraversò la luce  del caldo pomeriggio primaverile e mi spiego il senso del cambiamento.

Non tanto il suo, o quello della sua azienda. Ma quello del mondo intero.

Io rimasi in silenzio a guardare la mia immagine riflessa e moltiplicata nella sua collana di perle.

Capi che danno un senso.

Quando ancora il caldo ci teneva chiusi in casa al fresco dell’aria condizionata, oppure per i più fortunati all’ombra rinfrescante di qualche veranda sul mare, ho fatto un incontro interessante.

Ho dedicato la seconda parte della mia vacanza estiva, infatti, alla scrittura di un paio di saggi in uscita per altrettanti libri (non miei) che vedranno la luce, speriamo nei primi mesi del 2012. In uno dei due mi sono occupato di management, nel solco di un filone di ricerca e di applicazione che mi appartiene da tempo.

Ho fatto una scoperta interessante che riguarda il tema del sense making.

Estraggo dal mio saggio una pagina dedicata a questo tema

Da un po’ di anni vengono realizzate ricerche sulle competenze dei capi intermedi (Balogun, 2003; Rouleau, Balogun, 2008; Rouleau, 2005) che focalizzano con crescente precisione il ruolo fondamentale svolto dai capi intermedi nell’implementazione delle strategie aziendali. Tale ruolo si estrinseca in particolare nell’attività che la lezione di Karl Weick ha definito sense making, (1995). Il sense making è un processo retrospettivo di attribuzione di senso all’esperienza condivisa tra attori che appartengono alla medesima realtà organizzativa. Tale attività di costruzione di un frame condiviso è resa necessaria dalla necessità comunque di costruire una narrazione utile a comprendere cosa è accaduto e perché. E’ evidente che tale azione è diventata sempre più importante negli ultimi anni per la crescente complessità di un mondo in evoluzione tumultuosa ed imprevedibile. I soggetti, menomati dalla possibilità di fare previsioni attendibili, collocano se stessi nell’esperienza ex post, scambiando i punti di vista e narrando i propri vissuti. In definitiva si tratta di un’azione che pone un argine ai processi di perdita d’identità, sia personale che organizzativa, rendendo possibile un miglioramento del benessere e del clima in azienda.

Gli studi citati hanno attribuito al management intermedio un ruolo importante nello svolgere quest’attività con i collaboratori. Infatti i capi intermedi dispongono di una conoscenza operativa in grado di tradurre in modo molto concreto e comprensibile per chi lavora il senso degli accadimenti e delle trasformazioni che caratterizzano l’impresa. L’attività di sense making in particolare si esprime attraverso due azioni tra loro correlate (Rouleau, Balogun, 2008): attivazione di conversazioni e ingaggio dei network. Il primo aspetto riguarda la capacità che i capi intermedi dimostrano di individuare qual è il linguaggio necessario da adottare per collegarsi ai valori, alle logiche ai concetti condivisi all’interno del gruppo. Qualunque argomentazione e tentativo di influenza non può prescindere dall’individuare il linguaggio della “tribù” per far leva su terreni culturali e psichici conosciuti alla tribù stessa.

La seconda importante attività riguarda la comprensione delle individualità e delle coalizioni rilevanti nel sistema. Focalizzarne le diverse caratteristiche rende possibile comprendere come delineare i processi di influenza e costruire alleanze per affrontare un cambiamento. Ciò favorisce la creazione di una mappa in cui si evidenzia come influenzarne i nodi per raggiungere l’obiettivo voluto.

Progetti e gelati

Mi sto preparando per il prossimo colloquio di Ariele, Il coraggio del futuro, in cui condurrò insieme a Elisabetta Pasini il Workshop Apprendere l’innovazione dai giovani il prossimo 22 ottobre. La ricerca in rete mi ha condotto a questo bell’articolo di Carmen Leccardi che riflette su come cambia la concezione del tempo e della progettualità nell’età dell’incertezza.(segue)

L’arte del fallimento

Che cosa ha di speciale Charlene Li, osannata nuova Guru della Social Enterprise, 50.000 follower su twitter, speaker nella prossima edizione del World Business Forum e autrice del volume Open Leadership, uscito negli Usa lo scorso anno? Con un titolo così appetitoso, mi sono buttato nella lettura delle oltre 300 pagine uscendone però con la sensazione dell’ennesimo testo a tesi, ben documentato ma tutt’altro che exciting. (segue)

Indignazione, 2014

– Per la prima volta, sì per la prima volta. Lo faremo per la prima volta. Una protesta clamorosa,

  • Ne parleranno tutti. I politici, la stampa. La gente nelle piazze. Saremo i primi.

(segue)

Se metto radici non posso cambiare.

Un ponte tra due date simbolo del nostro tempo: il 25 aprile della liberazione dalle truppe nazifasciste e il primo maggio, festa del lavoro. Una settimana dedicata all’ascolto. Di me e del mio bisogno di fermarmi. A riposare, ma anche a pensare al futuro, poiché la velocità, come sappiamo non è solo un moto verso, ma anche un moto “lontano da”. Ci ha pensato il mio corpo ad assegnarmi il compito, inciampando in una febbre inquieta e senza causa, fatta di risvegli notturni e veglie insonni.

Il senso viene in parte svelato da questa immagine, strisciata fuori dalla mia matita, questa mattina.

Lei è lì che aspetta, o pensa. Non lo so. Lei sa che che deve muoversi, darsi da fare. Il tempo la chiama, la responsabilità, il suo progetto. Ma lei ha messo radici e non è così facile. Non è facile stare al passo. Anzi è impossibile. Può alzarsi, far sentire la sua voce, ricevere, visite. Ma non può muoversi. Altrimenti dovrebbe strappare le radici.Le hanno detto, che può farlo, che non morirà, che potrebbero attecchire altrove. Ma, insomma, lei lo ha imparato alle elementari. Le radice sotto, sono estese quanto la chioma, sopra. Strapparle equivarrebbe a buttare una buona parte di se. Non è affatto sicura, che tagliare e ricominciare da capo, sia una buona idea.

Il pensiero svanisce. Ora ha solo gli occhi aperti e guarda davanti a sé.

(Suonano le campane. Un vecchio Papa, è stato beatificato)