Consumo ergo voto

E’ stata molto interessante la relazione di Gustavo Zagrebelsky presso la scuola della politica di Libertà e Giustizia a Pavia. Mi ha riportato alla memoria il tema  del consumo su cui lungamente ho lavorato alla fine degli anni 90 e nei primi 2000. Avevo appreso dalla lezione di Giovanni Siri il valore simbolico del processo di consumo. Ho imparato da allora riconoscere e far riconoscere ai miei allievi il significato di un atto che contiene in sè sempre una dimensione funzionale insieme ad una immateriale. Bisogno da un lato, ma anche desiderio. La società liberista ha incrementato i consumi al punto da farne una sintassi sociale ormai irrinunciabile, che ha caratterizzato la cultura del nostro tempo. A distanza di una decina d’anni ci troviamo oggi a fare i conti con un cittadino che è sempre meno un soggetto politico, quindi in grado di autodeterminarsi e collocarsi rispetto alle scelte fondamentali della sua vita. Questo cittadino è diventato un consumatore. Ormai abituato ad una modalità simbolica, il cittadino consuma formule politiche, illudendosi di conservare un grado ampio di libertà. Il consumo avvolge il nostro esistere, nella sua voglia insaziabile di ingerire oggetti, persone, relazioni, simboli, conoscenze. Ormai dotati di un tubo digerente formidabile, abbiamo appreso ad ingoiare quantità esorbitanti di stimoli, per poi evaquarli altrettanto velocemente. La rivoluzione dei social network amplifica questa tendenza e siamo, io per primo, sempre più in un flusso che ci intrattiene e allieta, sollevandoci dalla solitudine.

Dalla frequentazione della bella lezione di Siri, ho maturato in questi anni l’idea che la lezione freudiana sia da far evolvere. Alla nota richiesta delle condizioni che rendono possibile la salute mentale, il fondatore della psicoanalisi ebbe a rispondere che “una soddisfacente vita affettiva” ed “una vita professionale gratificante” sono i requisiti da perseseguire nella vita di ognuno di noi. Se Freud fosse vivo oggi probabilmente direbbe che esiste un altro requisito: una soddisfacente e continuativa possibilità di consumare. Poiché è evidente a tutti che esiste l’equazione “sono ciò che compro” che affianca “sono ciò che faccio (il mio lavoro )”, “sono chi amo”. Di solito in aula mi dicono “che tristezza!”.

Il consumo è impossessamento, assunzione di proprietà, di dominio. Il consumo è incorporazione simbolica di un oggetto dotato di poteri. Come i guerrieri tribali convinti che mangiando il cuore del nemico ne avrebbero assunto il coraggio, il cittadino consumatore tollera le angosce del presente mediante un’azione introiettiva. Siamo dunque tutti drogati, tanto bisognosi da allontarci dal presente, da aver bisogno di sostanze che alterano la nostra capacità di sentire il reale? Certo l’ultimo Pasolini ci aveva avvertito di quello che sarebbe successo, e la sua è diventata una profezia particolarmente azzeccata. Eppure non voglio nemmeno rimpiangere un mondo lontano non più di due generazioni da me (e che ho conosciuto attravero le parole di mio padre e dei miei nonni) in cui si moriva per parto e le vita media era 60 anni di età. E allora la soluzione è un futuro da inventare. Come sostiene Zagrebelsky nello sua relazione, si tratta di immaginare altre modalità, non necessariamente utilitaristiche di stare nel mondo. Le soluzioni non sono così lontane. Basterebbe leggere Luigino Bruni, oppure Leonardo Becchetti. Sembrerebbe una cosa di sinistra.

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