L’età dell’incertezza

Una singolare esperienza formativa il ForFilmFest promosso da Aif, a Bologna anche quest’anno (il quarto) sul finire di novembre.  Singolare per il convergere di una molteplicità di eventi che concorrono a definire un’interpretazione rotonda dello scenario futuro.

L’incontro con l’altro, questo il tema della rassegna 2010, rappresentato attraverso alcune pellicole e le parole di alcuni relatori, è stato narrato attraverso i cambiamenti che l’incontro con l’altro determina. Il cambiamento, questo sì il segno distintivo di un festival, che presentava le emozioni di un mondo (la formazione/consulenza alle aziende ed alle istituzioni) in profondo imbarazzo culturale ed economico. I posti in sala desolatamente vuoti, pur nella ricchezza della proposta di contenuti evolutivi delle edizioni di successo degli anni passati, hanno testimoniato uno smarrimento e forse qualcosa di più. I film che abbiamo visto la prima mattina Lo scambista (Stelling, 1986) e La casa della gioia (Davies, 2000), scelti dai curatori del festival, ci hanno narrato cambiamenti, che si concludono con la morte del protagonista, oppure L’amore buio (Capuano, 2010) con l’enigmatica ed incompiuta dialettica tra due giovani in cerca di se nell’incontro con l’alterità. Cambiamenti che solo in minima parte propongono il tema della progettualità, retrocedendo nella necessità di affermare dimensioni primarie come l’amore, la dignità, l’identità dei protagonisti. La Cina ha attraversato la tre giorni: nel laboratorio di apertura con il regista Sergio Basso, nelle parole di Marianella Sclavi e nel bel film di Amerio (2006) La stella che non c’è. La Cina rappresenta per noi non solo l’altro inconoscibile e inavvicinabile, ma anche l’altro luogo, ovvero l’altrove. Si tratta del luogo lontano dalla terra madre, in cui la cultura più che mai diverge dalla nostra. Il luogo che è più lontano da casa nostra. Ma allora questo è un simbolo di quel tema dello Spazio Intermedio (Vitale, 2005), che rappresenta il luogo perpetuo del nostro peregrinare, condannato a non avere mai fine. Il luogo che chiede di abbandonare la fiducia in un esito, che ci chiede di pensare al nostro viaggio come un abbandonare ciò che è famigliare, per non accedere mai ad un nuovo luogo. Insomma una metafora dell’incertezza che attraversiamo. La stessa incertezza narrata con sapiente oculatezza da Ugo Morelli autore del bel volume Incertezza e organizzazione. Scienze cognitive e crisi della retorica manageriale (2009), premiato da AIF come libro dell’anno. Come affrontare questa incertezza, quali strumenti abbiamo per calmare la nostra ansia e rassicurarci? Riusciranno gli imprenditori, alfieri schumpeteriani delle società economica (che dopo tutto è l’eredità del ventesimo secolo) ad essere i “leader del futuro”? La docufiction Grandi speranze (Parenti, D’Anolfi, 2009), ha acceso finalmente in una sala fino a quel punto preda di depressione e acquiescenza. “Dégoûtant” – disgustosi – sono stati definiti da una giovane partecipante, i 3 giovani imprenditori protagonisti del video e sull’allineamento o meno a questo giudizio la sala si è spaccata. In tutti vi è stata la consapevolezza che se il futuro del nostro pese è nelle mani di questi simpatici ed un po’ rozzi personaggi, non andremo molto lontani. Ma allora significa che dobbiamo rimboccarci le maniche? Sì è questo il punto. Io sono uscito da questo evento con l’idea che è davvero finita un’era e che adesso giochiamo un gioco mai visto prima. Qualche ispirazione? Il richiamo dell’antropologo Marco Aime al tema della multidentità, indica la prospettiva di un mondo nuovo in cui sarà necessaria una maggiore capacità di contenimento e di tolleranza dell’ambiguità per sostenere le diverse dimensioni del sé. Mi sembra che si stia realizzando quella profezia dell’ultimo Jung, ovvero dell’avvento dell’età dell’acquario. Essa rappresenterà il superamento del principio del due (e quindi la sostanziale spinta alla unità che la dialettica comporta), a favore di un concezione più complessa del reale, all’insegna della molteplicità.

1 comment to L’età dell’incertezza

  • Dario Forti

    Sintesi precisa del nostro recente FFF. Mi ci ritrovo.
    Sul “dégoûtant” che richiami (citazione esatta dell’invettiva che lancia due o tre volte la protagonista femminile de “Lo scambista”), verrebbe da collegarsi con il tema dei “barbari” (Baricco e, più recentemente Scalfari). Disgustosi sono gli altri che non comprendiamo e, di conseguenza, non accettiamo. Segno del collasso interpretativo che caratterizza forse ogni ancor incomprensibile contempraneità.

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