Networking mindset

Ieri ed oggi per due giorni in aula ad occuparmi di networking mindset.

Ho incontrato 12 capi commerciali e specialisti delle risorse umane per una esplorazione avventurosa dei nuovi confini dell’agire organizzativo, all’insegna della collaborazione e della condivisione.

Mi sto occupando da tempo del tema, sviluppando le elaborazioni del gruppo leaderlessorg da un lato e valorizzando la ricerca sul capitale sociale all’interno della mia società dall’altro.

Qual è il punto?

Molti fanno un gran parlare di 2.0 (web 2.0, enterprise 2.0, marketing 2.0,…) e delle nuove prospettive della cultura wiki, nella società e nel mercato. Ma non sono del tutto soddisfatto. Mi sembra che si sia sempre adottata una prospettiva tecnologica, innanzitutto, o al più organizzativista. Di pertinenza privilegiata degli esperti di knowledge management, il gioco è stato in questi anni quello di trovare la miglior alchimia per convincere i dipendenti riottosi ad adottare le meravigliose architetture messe a loro disposizione. Seguaci di Nonaka e Wenger, molti autorevoli colleghi hanno teorizzato sulla creazione di comunità on line, elaborando modi sempre nuovi per far sentire gli utenti a loro agio.

So what?

La domanda radicale impone uno sguardo disincantato. Ma soprattutto libero dagli erotismi (di cui sono totalmente vittima, sia chiaro) di una tecnologia sempre più importante, in quanto onnipresente.

Il mio pensiero è che da un lato stiamo assistendo ad una crescita esponenziale dei sistemi di social network che di fatto stanno sviluppando un’azione educativa di massa sulla collaborazione nello spirito 2.0. Il fatto è che questa onda d’urto culturale sta iniziando ad invadere le organizzazioni e quindi bisogna apprestarsi a coglierne l’opportunità. L’altro aspetto è che qualche azienda, mi sta cominciando a dire “noi siamo pronti a fare questo salto culturale, ma come facciamo a formare quel 50 % (la percentuale è a discrezione del lettore) di colleghi che non è pronto?”.

Ho provato a dare una risposta a questi temi con una ricerca che da più di un anno ha portato al centro delle mie riflessioni il networking mindset.

Non parlo di competenze ma di mindset, perché il networking è qualcosa di più. E’ un’attitudine generalizzata, un cultura, un approccio, un assetto strutturale che  ridefinisce il potere. L’altra visione, il competence mindset, porta a relazionarsi con altri soggetti in quanto gerarchicamente preordinati al compito, oppure istituzionalmente competenti. Il networking, va al di là, attraversa l’organizzazione, genera valore senza prevedere un’equazione di utilità. Gli scambi asimmetrici che generano relazioni di fiducia, sono la sintassi di un nuovo mondo che va oltre la razionalità utilitarista.

Io ci voglio credere. Voglio credere che sia vero che wiki è la dimostrazione che gli essere umani sono fondamentalmente buoni. Voglio credere che possano esistere leaderless organization. Voglio credere alla solidarietà che va oltre la cooperazione di poveri e bisognosi, ma che contribuisce ad un società desiderante, ma sostenibile.

Utopia? Ora abbiamo il mindset per rendere l’utopia realtà.

7 comments to Networking mindset

  • Ciao Paolo, quello che dici alla fine è importante, secondo me: bisogna credere nelle logiche generali del sistema, del fare rete, e del fatto che il fare rete migliora l’efficienza. Perché è questa la Grande Visione che deve guidare anche le piccole realizzazioni.

    Le persone parteciperanno innanzitutto per un discorso di utilità: noi dobbiamo convincere che queste cose sono innanzitutto utili, perché siamo sul posto di lavoro e questa è la moneta – retorica – che gira. Il resto viene dopo.

    E dobbiamo portare esempi: in azienda si ha paura, ma se il settore a fianco al tuo è partito e funziona allora come per magia i muri cadono perché non è più una “cosa d’altri”, ma una cosa tradotta nel linguaggio e nelle pratiche che le persone conoscono bene.

    E poi ci sono i manager: ne bastano un paio ben piazzati e che ci credano per rompere delle barriere

    E poi ci sono le persone: se non lavori a creare le tecnologie assieme a loro dall’inizio tendono a rivoltarsi. Ma se le coinvolgi *prima* beh, è un’altra storia.

    Ciao

    • Paolo Bruttini

      Io non credo, Giacomo, al solo paradigma utilitarista. Quello sto cercando di dimostrare nei miei incontri con manager o responsabili risorse umane è che stiamo proprio assistendo all’evoluzione di questo paradigma. Nella logica del et…et, vediamo che nascono nuove organizzazioni in cui il p2p convive con il “as usual”. Ma lo vedi cosa sta succedendo in Borsa in questi giorni? Siamo alla crisi, quasi definitiva, di un modello di sviluppo. La lettura di economisti come Luigino Bruni è illuminante in tal senso. ciao e grazie. PS metto il tuo blog in blogroll

  • […] // Ho già avuto modo di illustrare il concetto di Networking Mindset qui. […]

  • andrea

    Avete dei casi studio, da dove si può evincere che il vostro intervento ha generato un risultato. Miglioramento dei processi, dei flussi organizzativi, ottimizzazione degli scambi, etc..

    • Paolo Bruttini

      Abbiamo dei casi di studio positivi da cui si evince che le nostre azioni hanno prodotto capitale sociale. Non abbiamo raccolto evidenze che questo incremento di capitale sociale abbia avuto esiti organizzativi ulteriori. Sicuramente ci sono questi dati in azienda. Raccoglierli dovrebbe essere possibile. Mi ha dato un’idea che potrei realizzare con un paio di clienti più vicini.

  • andrea

    NOi da 5 anni utilizziamo NA come strumento per valutare gli interventi formativi. il nostro consulente si chiama Barry Wellman, lo conosce?

    • Paolo Bruttini

      Tra gli accademici americani seguo Ronald Burt, dell’Università di Chicago. Non ho letto nulla di Barry Wellman. Come valutate l’impatto degli interventi formativi?

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